A.C. 3683
Grazie, Presidente. Io penso che la legge che voteremo tra qualche minuto, per tutte le ragioni che sono state richiamate anche questa mattina, sia un testo giusto, atteso e soprattutto condiviso. Al fondo non credo sia un alibi, ma un atto dovuto verso alcuni tra i simboli più alti di questo nostro Paese. Tra pochi giorni, il 21 marzo, per il ventiduesimo anno, centinaia di nomi verranno letti, scanditi a voce alta, nelle piazze di decine di città e i nomi ancora una volta saranno le vittime della violenza mafiosa: magistrati, poliziotti, carabinieri, esponenti delle istituzioni, familiari dei pentiti, e poi imprenditori, giornalisti, cittadini armati solamente di un enorme coraggio civile, donne e uomini caduti per mano di un potere criminale radicato, ramificato, capace di collusioni fino dentro il corpo dello Stato. Un potere, va detto, che non abbiamo sconfitto ancora in modo definitivo, come giustamente ha ricordato qui stamane l'onorevole Mattiello. Ricordare le vittime, pronunciando i nomi, anno dopo anno, non è soltanto il modo per tenere accesa l'attenzione e la cura verso pagine dolorose e tragiche, ciascuna con il suo dolore, la sua tragedia. Credo sia anche la via che Luigi Ciotti e Libera hanno scelto per consegnare al calendario civile della nazione una data che a ognuna di quelle vittime garantisse dignità, senza distinguere sulla base del ruolo svolto o della notorietà, perché anche questo è vero, che non sempre la morte funziona come «la livella» recitata da Totò.
Giovanni Falcone è stato emblema in vita, e la fine lo ha reso simbolo. Antonio Montinaro di Giovanni Falcone in vita è stato il caposcorta: lo ha seguito nella fine, ma il suo nome non ha lasciato dietro di sé una memoria uguale, anche se lo strazio di chi lo rimpiange non è affatto minore. La verità è che la dignità di quelle vittime vive nella memoria comune che un Paese sa tributare loro, e l'importanza di questa legge si misura precisamente qui, in quella magia particolare che scopre l'intreccio tra un calendario privato e un almanacco civile.
Quando quelle due dimensioni si confondono e la vita di tanti, in particolare se giovani o studenti, prende coscienza della vita di altri, un Paese, un popolo, guadagnano la loro maturità, e questo accade più facilmente mescolando quellevite, persino recitandole. Colleghi, dopo l'11 settembre, l'America, fin dal primo anniversario di quell'attacco, ha scelto di commemorare l'evento nella in maniera più solenne. Alle 8,46 del mattino, a Ground Zero, chiunque sia il Presidente degli Stati Uniti, non vengono pronunciati orazioni o discorsi, ma si leggono i nomi delle vittime, perché sono quei nomi, pronunciati, ripetuti, anno dopo anno, che riassumono il senso della tragedia e la potenza della memoria.
Significa che nulla è più dirompente dei nomi, perché dietro il nome, ogni nome, si ricompone, come in un mosaico, una storia, una biografia, una famiglia, una città o una generazione. Poi, certo, è fondamentale abbattere la parete che separa ogni retorica da una lotta e un'azione quotidiana che quella violenza debbono estirpare, e questo avviene non in una data simbolica, che sia o meno il primo giorno della primavera... Il rispetto per chi sta parlando è davvero l'ultimo dei problemi, di fronte a questo tema. E questo avviene non in una data simbolica, che sia o meno il primo giorno della primavera, ma avviene dove deve accadere, nelle procure di frontiera, nei commissariati di quartiere, in ogni classe dove entra un insegnante convinto che avrà compiuto la sua missione se, oltre a saper tradurre Cicerone, quei ragazzi usciranno da lì consapevoli di essere cittadini, prima che sudditi. Insomma, quella parete tra memoria e avvenire si abbatte in modi diversi, perché le mafie si possono studiare, combattere, a volte subire, e in quest'Aula siedono persone, colleghi, che una prova simile hanno vissuto, ma la conoscenza di quella piaga passa soprattutto dal contagio emotivo con la storia di chi ne è rimasto vittima. Se non capiamo questo, facciamo fatica a comprendere perché alcuni familiari abbiano fatto della testimonianza la leva di riscatto per il dolore che hanno dovuto patire. E in questo un filo lega quelle vittime ad altre, quelle di una umanità casuale, colpite in una piazza, una stazione o sulla vettura di un treno, quelle di un terrorismo che abbiamo prosciugato in anni lontani e ci minaccia oggi con altre parole, ma all'interno di una stessa logica, che è seminare la paura e annullare lo spirito della comunità. Quelli prima di noi vinsero allora, e io penso che vinceremo di nuovo, ma potremo farlo con più convinzione se sapremo legare volti e biografie a quel principio di legalità che si fonda sul primato della verità e della giustizia. Come altri in quest'Aula, un po’ disattenta, appartengo ad una generazione che ha molto amato i versi di Spoon River e ancora di più la traduzione in musica che ne fece un artista di genio. Forse questa legge può essere un modo per non lasciare che la Spoon River delle vittime innocenti della violenza mafiosa resti confinata nell'ambito della poesia.
Quelle vittime, oggi lo diciamo qui, in questa Aula, sono storia d'Italia, e il Parlamento della Repubblica, nella forma più semplice e solenne, decide di rendere loro il tributo che meritano. Il 21 marzo, da oggi, entrerà di diritto nel calendario civile di questo Paese. Penso sia un momento alto, importante di questa legislatura, e, se come penso e spero, tra pochi istanti l'Aula licenzierà una legge attesa, noi avremo consegnato all'Italia fuori da qui una modesta testimonianza di ciò che la politica e le istituzioni sanno rappresentare: l'unità di un Paese, la coscienza di un popolo. Nulla di cui vantarsi dinanzi ai problemi enormi che ci investono, ma un seme da gettare e di cui, per una volta, sentirsi tutti, per la propria parte, orgogliosi.
Signor Presidente, colleghe e colleghi, nonostante io sieda in questa Camera da più tempo di parecchi tra voi, questa è la prima dichiarazione di voto che mi è dato di pronunciare. Per le ragioni che ho appena detto, lo considero un privilegio; considero un privilegio poterlo fare su un provvedimento come questo. E poi, per un puro accidente del caso, succede che questa prima dichiarazione avvenga nel giorno stesso in cui una parte della mia comunità politica si è separata e ha scelto un altro sentiero.
E, allora, mi scuserete se, nella piega finale di questo intervento, proverò a dire perché continuo a credere che per ciascuno di noi l'appartenenza, nel senso puro del sentirsi parte, sia un patrimonio che non vive solamente dietro un simbolo, ma sia sempre un impasto molto più profondo di sentimenti, di rispetto, di condivisione. Da ragazzo, quando ho scoperto che cosa la politica poteva essere, l'impegno e la passione mi condussero, per anni di seguito, il 3 settembre, sulle strade di Palermo, nel giorno della commemorazione del generale Dalla Chiesa e della moglie. Prima c'era stato Pio La Torre, dopo sarebbero arrivate Capaci e via d'Amelio. Lo ricordo per dire che la lotta alla mafia è qualcosa che ha la forza simbolica di spiegare a tutti noi perché le ragioni di una stessa parte, di una stessa appartenenza, non potranno farsi scalfire dai motivi di una divisione destinata a essere comunque meno profonda di quelle ragioni. Su questi banchi sono passati, si sono seduti, i protagonisti della storia repubblicana. Uno tra loro occupa oggi la più alta carica dello Stato e apporrà la sua firma in calce a questa legge. Per il cognome che porta, immagino che non sarà, in quell'istante, un atto eguale agli altri; diciamo che sarà una firma collettiva, una firma simbolica e collettiva.
Quella contro le mafie, quella per la democrazia, quella per la dignità, è stata, è oggi e continuerà ad essere nel tempo una delle battaglie di liberazione e di civiltà che ci vedrà assieme, sempre e comunque dalla stessa parte (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista, Civici e Innovatori, Democrazia Solidale-Centro Democratico e Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa).